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di Gianni Nigro |
Ero intento scrivere un Tutor su un argomento del linguaggio di
programmazione C++ per una Rivista on-line, quando dalla piazza
mi giunse di sorpresa il rumore sferragliante di un tram. Molto
strano, pensai. Anzi, impossibile. Già, perché quando acquistai l’appartamento al terzo piano di quella casa d’epoca dalle finestre affacciate sul gigantesco Piazzale, tutt’intorno al Piazzale correvano i binari ormai inutilizzabili di un tram. La piazza era gigantesca e alberata, e circondata da una strada asfaltata di poco traffico e su quell’asfalto restavano incastonati, chissà da quanti anni, i binari di un tram che non li percorreva più da tempo immemorabile. Dunque com’era possibile udire il passaggio di un tram che in alcun modo poteva transitare? Istintivamente, comunque, mi staccai dal computer e mi appoggiai con la fronte al vetro della finestra. E infatti del tram non vi era traccia, non solo, ma proprio sotto la finestra vi era un sottile manto di vecchio asfalto che ricopriva in parte i binari stessi. Abbandonai la finestra e le mie fantasie e tornai scrivere alacremente, meditando sul fatto che gli informatici, come indicavano molte statistiche, erano tra i professionisti più predisposti alla follia. Erano anni che già abitavo in quell’appartamento e spesso dalle finestre mi godevo le fronde ogni anno più alte degli alberi che abbellivano la piazza. Sovente mi tornava alla mente quando abitavo con i miei genitori, nella parte ovest della città. Eravamo arrivati dal lontano mare natio, nella grande città, per le ambizioni di mio padre. Il viaggio l’avevamo fatto a bordo di una Seicento e appena entrati in città mio padre sbagliò strada. Invece di inoltrarci nella zona ovest, dove ci attendeva un piccolo appartamento al sesto piano preso da mio padre in affitto, avevamo tirato dritto, provenendo da sud – est, e finendo in quella zona. Mio padre negli ultimi anni era venuto spesso in quella città e detestava, per ragioni sue, la parte est. Così per anni abitammo nella zona ovest, quasi del tutto priva di alberi, di verde, e invece affollata di alti palazzoni che si erano stratificati nel tempo. E siccome in quella città abitava da molti più anni un fratello di mio padre, quando alla domenica andavamo a trovare mio zio io ero felicissimo, perché la parte est era verde e piena di piazze rotonde o quadrate alberatissime, dei veri piccoli parchi all’interno delle piazze. Beh, tornando al momento in cui ci perdemmo al nostro primo viaggio, mio padre fermò la Seicento proprio lungo il marciapiede di una piazza, gigantesca e alberata. Mentre mia madre, poveretta, tentava disperatamente di raccapezzarsi nella mappa topografica della città, mio padre chiese a un tizio, un tipo strano, così sembrava a me bambino. Il quale, ridacchiando per l’ingenuità provinciale di mio padre, gli rispose: «Viale Dei Bischeri? Si trova dalla parte opposta della città». E rideva tra sé. A questi lontani ricordi ripensavo, mentre tentavo di terminare il Tutorial, quando mi parve nuovamente di udire l’insolito sferragliare del tram proprio sotto le finestre di casa. Dopo un attimo di esitazione, mi precipitai alla finestra dello studio. Non c’era nessun tram. Dovevo preoccuparmi? La mia salute mentale stava vacillando? Un giorno arrivarono alcuni operai, transennarono i binari e iniziarono a lavorarvi, sostituendo molti pezzi e liberando dall’asfalto i pezzi sepolti da decenni. L’eventuale ripristino del tram avrebbe richiesto molto tempo. Qualche mese più tardi il cerchio dei binari attorno alla piazza era libero ma di giorno gli operai continuavano il loro intervento sulla linea per renderla del tutto praticabile. Era gennaio, verso sera. Immancabilmente, mentre lavoravo al computer, mi tornavano i ricordi del nostro primo arrivo, che avvenne proprio l’undici gennaio del 1959, alle sette di sera, circa. E dopo tanti mesi di assenza di quella allucinazione sonora tornai a udire lo sferragliare del tram dalla parte opposta della piazza. Questa volta, inconsciamente, macchinalmente, mi ritrovai in camera a infilarmi dei vestiti alla meglio e mi fiondai in strada. Il tram si avvicinava lentamente e si fermò proprio a pochi metri da me, dove notai che avevano appena installato un cartello di segnale della sosta del tram. Le porte del tram di colpo si spalancarono e io, senza esitare, vi salii sopra. Il tram era deserto. Non c’era il bigliettaio, ma il bigliettaio era stato abolito da almeno trent’anni. Mentre le porte si chiudevano e il tram ripartiva, mi avvicinai lentamente al settore di guida, faticosamente per vincere la forza di accelerazione del tram che tendeva a ricacciarmi indietro. Una volta raggiunto il pannello che nascondeva il tranviere, mi resi conto che non c’era nessun conducente. Fui carpito da una specie di paura, un senso di angoscia. Mi chiesi se non stessi dormendo e fossi dentro a un incubo. Il tram procedeva lentamente e invece di uscire dalla piazza per dirigersi verso il centro della città, iniziò a inanellare giri su giri attorno alla piazza stessa. Ero quanto meno basito. Durante i primi giri la piazza mi appariva invariata, all’imbrunire, con i lampioni ormai accesi, pochissima gente in strada e ben imbacuccata per il freddo, i negozi ancora illuminati. Tuttavia avevo la netta sensazione che qualcosa stesse cambiando. Anzitutto avevo l’impressione che gli alberi ad ogni giro si rimpicciolissero. Ma c’era qualcos’altro che cambiava. In un primo momento non ero in grado di capire cosa stesse succedendo. Però mi resi conto che il rimpicciolirsi degli alberi ad ogni giro della piazza era più semplicemente il loro ringiovanimento. Ben presto mi resi conto che anche le case subivano un processo di ringiovanimento. O meglio, le più sporche di smog riprendevano colore, altre di colpo presentavano un aspetto rinnovato, come dopo un restauro. Ben presto però, alcuni alberi, ormai giovanissimi, iniziarono a sparire, e soprattutto i palazzi più recenti persero il loro status di case abitate per acquisire quello di case in costruzione, che, ad ogni giro, erano sempre più basse, sempre più in costruzione, fino a essere solo delle fondamenta, e poi delle voragini, e infine dei campi. Ricordai, a fatica che ormai la piazza nel suo insieme stava assumendo l’aspetto delle piazze che avevo conosciuto al mio arrivo in quella città nel 1959. All’improvviso il tram si arrestò, proprio alla fermata dove vi ero salito sopra. Scesi dal tram e notai un’auto, in una piazza che ne era totalmente priva. Era una Seicento, tale e quale a quella che avevano i miei genitori. Allungai la vista, affaticata dal tanto lavoro al computer. Notai che al volante c’era un uomo, al suo fianco una donna e nel sedile posteriore un bimbetto. L’uomo abbassò il finestrino e mi chiamò. Andai loro incontro, dapprima lentamente, poi accelerando il passo, infine, ormai vicinissimo, rallentando fino a fermarmi a un paio di metri dall’auto. L’uomo mi domandò: «Sa mica dov’ Via dei Bischeri?» Sussultai. Venni afferrato da un senso di panico. L’uomo somigliava tremendamente a mio padre. Anzi, era uguale, sì, però a come era mio padre attorno al Cinquantanove. «Viale Dei Bischeri?», risposi. E venni stranamente colto da un’involontaria voglia di ridere. Ma continuai: «Si trova dalla parte opposta della città». E ridevo tra me. Poi guardai meglio il bimbetto, che inaspettatamente mi strizzò l’occhiolino. «Ir mi babbo», disse, «un ci capisce nulla di guida. Pensi che la macchina l’ha comperata la mi’ mamma, ma vole sempre guidare lui, perché dice che l’omo che deve guidare, anche se lui è stato bocciato du’ vorte all’esame di guida». L’uomo s’imbelvì e gridò al bimbetto: «Se un ti cheti, e ti pigli du’ storcioni di collo!». «Antonio!», protestò la donna, «non trattare sempre così il bimbo. E poi davanti alla gente!». Quindi la donna si rivolse direttamente a me, sorridendomi: «Lo scusi, mio marito è sempre nervoso, e quando guida è ancora più nevoso e poi abbiamo appena fatto un intero giorno di viaggio, l’Aurelia, tutto il Passo della Cisa, la via Emilia … inoltre, non so perché ma lui non sopporta questa zona. Infatti abbiamo preso un appartamentino dalla parte opposta. Ora l’ho trovata, qui, sulla carta». «Ah», dissi io, «benissimo. Ora, magari meglio se seguite anche la carta, dovete andare dalla parte opposta della piazza, prendere quella stradina che porta dritto dritto alla circonvallazione, svoltare a sinistra, e seguire tutta la circonvallazione per quasi tre quarti di giro. E sarete arrivati. Nel Viale dei Bischeri». La donna ringraziò con un sorriso e un sonoro ciao. L’uomo emise un grugnito e il bimbo lo saluto in tutti i modi possibili. Io sentivo verso di loro uno sconvolgente senso di affetto, anche verso quell’uomo, che, nonostante tutto, avrei voluto abbracciare, ancora per una volta. Ebbi solo la forza di sussurrare: «Addio … » E tornai verso casa senza più voltarmi. |
di Gianni Nigro |